
La Valle, che prende nome dal fiume Agri, è una delle più belle e prestigiose della Regione Basilicata. Il comprensorio è diversificato, va dagli ambiti tipicamente montani a quelli collinari, fino a giungere alla tipica pianura. Molti sono i centri che si affacciano sulle sponde del fiume Agri che custodiscono meravigliose testimonianze storiche, artistiche ed archeologiche. Tra questi centri spicca MARSICO NUOVO posizionato a mt. 865 s.l.m. Possiamo dire che Marsico Nuovo è un paradiso da cui si può ammirare una vegetazione senza eguali, perfetta, elegante, esclusiva che da la possibilità di un soggiorno da relax offrendo aria pulita e cibi genuini (parco Fontana delle Brecce che si estende per 2000 ettari e la Pineta TUMOLO). La vita serena e tranquilla è scandita dai tocchi dell’ orologio del Municipio e dal suono delle campane delle tante Chiese . All’ attento turista consiglio di visitare: La Cattedrale, dedicata a San Giorgio, ricostruita nel XVIII secolo, dove sono custodite importanti opere su tela del 600 e 700, fu fondata nel 1330, distrutta da un incendio nel 1809 e ricostruita nel 1833; il Palazzo Pignatelli integro nella sua fisionomia del 500 ( sede del Municipio e della Biblioteca ); il Palazzo Navarra del 700; la Chiesa di San Michele con la sua facciata romanica ed il suo portale del XIII secolo, realizzato da Melchiorre di Montalbano, da ammirare anche il campanile settecentesco; la Chiesa del Santo Spirito; la Chiesa di San Marco del XIII- XIV secolo; la Chiesa del Carmine; il Convento di San Tommaso ex Palazzo dei conti Guarna; il Santuario della Madonna di Costantinopoli la cui cupola fu affrescata da Salvatore Ferrari e la Chiesa di San Gianuario fondata nel XVIII secolo e dedicata al patrono del paese. La Chiesa di San Gianuario originariamente era un tempio pagano, dedicato al dio Serapide; fu edificata nell’ XI secolo come Abbazia di S. Stefano, ha al suo interno le quattro colonne Serapidee che introducono le tre navate a croce latina; il portale in pietra è sorretto da colonne in stile corinzio; nella nicchia sovrastante è collocato il busto di S. Stefano. San Gianuario è il Patrono di MARSICO NUOVO. Viene festeggiato tre volte all’ anno: il 26 gennaio, per ricordare la traslazione dall’ ARIOSO a MARSICO; il 26 Aprile, data nella quale avvenivano le tradizionali processioni del paese; il 26 Agosto in ricordo del martirio. La tradizione vuole che Gianuario, vescovo di Cartagine, fu inviato nell’ Italia meridionale nel 397 per sconfiggere il paganesimo, ma fu ucciso in una imboscata nel bosco dell’ Ariuso, che si trova tra Pignola e Marsico e qui venne seppellito. Nel 1048 il suo corpo fu riesumato, su indicazione di una donna marsicana alla quale San Gianuario era apparsa in sogno, insorse una disputa tra i marsicani ed i potentini circa il possesso del corpo del vescovo, ma essa si risolse a favore dei marsicani grazie alla coppia dei buoi che trasportarono il corpo verso Marsico e fermandosi nei pressi dell’ Abbazia si S. Stefano, era il 26 agosto, così divenne il patrono di Marsico Nuovo, e nel 1825 il Vescovo MAROLDA fece edificare in suo onore una splendida Chiesa.
Marsico Nuovo emerge in capo alla Val D’Agri sorgendo su tre colline di ineguale altezza: Civita, Portello e Casale. Come spesso accade per piccoli centri di antica fondazione, si può dividere in due parti, una vecchia ed una nuova. La prima parte, detta Civita, è situata sulla collina più alta dalla quale prende il nome; essa presenta avanzi di torri e di mura, con strade piuttosto strette, ma abbastanza regolari. Nel suo perimetro sono comprese la Cattedrale, l’Episcopio, il Seminario, poi trasformato in Orfanotrofio dell’Istituto Vocazionisti, il soppresso monastero di San Francesco (l’antico Castello era in passato adibito a carcere), la Chiesa di Sant’Angelo e quella di Santo Stefano o di San Gianuario.
La parte nuova, invece, si sviluppa sulle due colline più basse e vanta le chiese di San Marco, di Santa Caterina, di San Giuseppe, la Congregazione dei Morti (le ultime tre distrutte da vari terremoti succedutisi nel tempo), la Piazza e il Monastero di San Tommaso Martire, adibito a Monastero delle Suore Benedettine, anch’esso dirupo, con annessa la chiesa intitolata alla Beata Vergine del Carmine, popolarmente detta Chiesa delle Monache.
“Nei secoli di mezzo quella parte di Marsico, che attualmente chiamasi Casale, era divisa dalla città, abitata da contadini, ed aveva un perimetro per quanto comprendeva la parrocchia di San Tommaso. Prosperando poi la nostra Marsico, sotto i Guarna ed i Sanseverino, la popolazione aumentò, e per conseguenza anche il fabbricato; e così, con l’andar del tempo, il Casale e la Civita formarono una sola città”.
Il fiume che lambisce il paese è l’Agri, più volte citato in fonti greche e latine. Secondo le fonti, tale fiume era navigabile verso la foce. Questo fiume è detto più volte Aciris nelle tavole Eracleesi, sia da Stradone che da Plinio. Ad ulteriore conferma della navigabilità dell’Aciris, vi è l’informazione che, tra le varie concessioni che Federico II faceva nel 1232 al “Monastero Carbonense dè PP. Brasiliani”, vi era il permesso di avere in tale fiume la propria barca di dieci cavalli. E’, altresì, interessante quanto emerso dagli studi geologici secondo i quali l’Alta Valle dell’Agri è stata un lago pleistocenico.
Nella storia antica di Marsico Nuovo, purtroppo, vi sono molti vuoti che non permettono di avere informazioni certe rispetto, soprattutto, alle sue origini. Ciò è da imputare, in primis, ai secoli di barbarie che dominarono questa terra.
Secondo alcuni storici Marsico deriverebbe il suo nome dai Marsi, prima popolazione che si stanziò sul suo territorio intorno al IV sec. a.C., fondando Abellinum Marsicum.
Abellinati, infatti, era il nome che si erano dati i Marsi allorché, unitamente ad altri popoli di stirpe osco-sabellica, occuparono l’Enotria tra il VI e il V sec. a.C. Secondo la tradizione ciascuna delle tribù, discendenti dall’antico tronco dei Sabini, prese a guida un animale sacro come proprio dio e protettore. Come avevano fatto gli Osco-Sabellici nel passato, in epoche leggermente successive fecero i Marsi, eleggendo a propria guida il cane, animale consacrato a Mercurio, sia per la sua astuzia che per la sua fedeltà. “La fedeltà fu sentita dai Marsi come un comando del proprio Dio, tanto che essi, allontanandosi dalla terra di origine, si congiunsero e amalgamarono agli Osco-Sabini fermatisi nella Lucania, con cui vollero far vita comune, dimostrando sempre più quel sentimento di fedeltà simbolo del loro animale sacro. Soggiogati dalla visione della nostra stupenda valle si fermarono sulla finestra di essa, poco più a valle delle sorgenti del fiume Agri, fondando la città cui dettero il nome di Abellinum Marsicum il cui stemma è un cane con il motto F.E.T.A. (fidelis et amans) per non confonderla con l’atra Abellinum Hirpinum”.
Alcuni altri autori propendono per la derivazione dal termine latino Marsicus, con riferimento alle paludi che un tempo erano presenti intorno al centro abitato. A queste ipotesi, poi, se ne aggiungono diverse altre relative all’origine di Marsico che sono più facilmente considerate infondate.
Plinio nella sua Historia naturalis, al libro III, cap. XI, nomina gli Abellinates cognomine Marsi tra i popoli mediterranei della Lucania. “Tito Livio e Tolomeo ci ricordano l’Abellinum Marsicum nella Lucania situato, che si disse Abellinum cognomine Marsicum per distinguerlo dall’altro Abellinum (Avellino) degl’Irpini”. Il Butero ci assicura essere stato l’Abellinum Marsicum una delle nove città principali della Lucania. Quindi malamente si apponeva l’Ughellio col dire di Marsico «apud antiquos scriptores nulla fit mentio». Tra gli insigni geografi che trattarono delle cose antiche, il Cluverio e il Cellario non dubitarono situare lo Abellinum Marsicum nel nostro Marsico.
Tra gli autori del passato, l’Arduino, però, riportava una imprecisione ripresa anche da altri autori più recenti, facendo coincidere l’Abellinum Marsicum con Marsico Vetere sebbene di essa si dicesse essere città vescovile. Per la verità le più antiche informazioni relative a quest’ultimo paese ci riportano dopo il Mille. Esso fu detto “vetere” perché sviluppatosi sul declino occidentale del Monte Vetere. Tra l’altro la parola “nuovo” aggiunta al nome del paese, non prova affatto le origini dello stesso più o meno tarde rispetto a Marsicovetere, infatti, in nessuno degli autori antichi e ancor più nei documenti, sia in latino che in italiano appare tale ipotesi. Marsico Nuovo, invece, lasciò il nome Abellinum dopo il declino della potenza romana e, solo nel 1276-1277 viene menzionato come Marsicum Novum in un elenco dei paesi della Provincia o Giustizierato della Basilicata7. Tale innovazione, però, non attecchì subito tra la gente che continuò a chiamare il Paese solo Marsico, senza l’aggiunta dell’attributo Nuovo. Certo è che il paese era molto importante in quanto fu Capoluogo di Diocesi contemporaneamente a Grumento e che Marsico fu scelta quale sede dei Vescovi dopo che Grumento stesso fu distrutta. Nei tantissimi documenti medievali conservati nella Curia Vescovile si fa sempre riferimento a Marsico e mai a Marsico Nuovo. Anche nei documenti di tempi più moderni, risalenti al XVI sec. d.C., si fa riferimento al solo Marsico. Ventre stesso dice, a riprova di questo scarso attecchimento dell’aggettivo “nuovo” posposto al nome del paese, “dacchè questa città è esistita, gli abitanti si sono chiamati e si chiamano Marsicani; se il Nuovo formasse parte integrale della parola con cui la città si denomina, dovrebbero chiamarsi Marsiconovesi, così come gli abitanti della vicina Marsico Vetere si chiamano e si sono sempre chiamati sic et sempliciter «Marsicoveteresi»….L’appellativo di «Nuovo» dovette forse, sorgere e coltivarsi per velleità innovatrice di qualche cittadino più o meno autorevole che, con quell’aggettivo, volle forse celebrare il sorgere a vita nuova del paese, flagellato da continui terremoti (tre, per dirne uno, e tutti e tre nel secolo scorso: 1807-1826-1857)… Anche in tutti gli atti dello Stato Civile esistenti presso questo Municipio, fino a non molti anni fa, è stato sempre scritto Marsico. Perfino il bollo con cui venivano contrassegnati i documenti rilasciati dall’Ufficio, insieme con lo stemma del Comune, portava la dicitura «Marsico» non Marsico Nuovo”.
Mentre i Lucani si andavano affermando nei propri domini del sud dell’Italia, Roma aveva iniziato il suo glorioso cammino verso la conquista dell’intero mondo conosciuto. Dopo una prima resistenza nel 291 a.C. i romani fondano la colonia di Venusia, posta a controllo delle vie che collegano la regione Lucana con la Puglia. Secondo alcuni la via Herculea, che collegava la colonia di Venusia con Grumentum, da dove si poteva proseguire verso la Magna Grecia e il Bruzio, si trovava alle spalle dell’abitato di Marsico. Tale via metteva in comunicazione, infatti, la via Appia con la via Popilia, costituendo, così, la spina dorsale dell’intera regione.
Man mano che i Romani avanzavano, le singole città lucane iniziarono a stipulare accordi con essi per salvaguardare, almeno in minima parte, la loro autonomia. Allorché, però, si crea tensione tra Taranto, colonia greca, e Roma, i Lucani hanno una buona occasione per offrire il proprio aiuto a quest’ultima. Nel 275 a.C., l’esercito di Pirro, venuto in aiuto di Taranto venne sconfitto a Maleventum (per questo ribattezzata Beneventum).
In seguito e come conseguenza dell’espansione territoriale nel sud di Roma, inizia presto il conflitto con la città fenicia di Cartagine. La prima delle tre guerre puniche si svolge prevalentemente in mare ed in terra africana, il secondo conflitto, invece, si ha quasi completamente tra la Puglia e la Lucania. Dopo la battaglia di Canne (216 a.C.), Taranto e i lucani, convinti dell’ormai vittoria punica, si schierano a fianco del generale carteginese Annibale che, in attesa dell’arrivo del fratello Asdrubale, si muove con il suo esercito in cerca di vettovagliamenti, accampandosi anche in val D’Agri (207 a.C.). presto però il generale romano Claudio Nerone scende nella Val D’Agri e nei pressi di Grumentum si scontra con l’esercito punico. Il conflitto, però, si risolverà solo dopo la battaglia di Zama, nel 202 a.C., a favore dei romani.
Dopo questi eventi Roma inizia ad accanirsi contro quanti avevano appoggiato Annibale, quindi anche contro le città lucane, prevedendo per esse spoliazioni sistematiche di terreni che saranno assegnati ai veterani delle guerre puniche, nonché imponendo tasse sempre più pesanti. Dal malcontento derivato da tali provvedimenti, Piceni, Vertini, Peligni, Marrucini, Sanniti, Marsi e Lucani formarono una coalizione militare contro Roma. La guerra sociale che ne derivò si combattè, soprattutto nella prima fase, in Lucania; una delle battaglie decisive per lo scontro si ebbe in Val d’Agri dove Marco Lamponio, al comando delle truppe italiche si scontra con Licinio Crasso, luogotenente di Giulio Cesare, sconfiggendolo e costringendolo a ritirarsi presso Grumentum.
In età imperiale, la Lucania e l’attuale Calabria, vengono inserite nella “termia regio Lucania ed Bruttium” e in questo ampio territorio, che costituiva una delle dodici “regioni” in cui venne divisa la penisola italiana, il potere centrale di Roma viene affidato ad un corrector, funzionario di nomina imperiale. Rimane certa a Grumentum, fino al periodo alto medievale, la presenza dei “praetores Duoviri” con competenze su tutti i paesi del circondario, solo però in ambito giuridico e non amministrativo. Tenuto conto di ciò, verosimilmente Marsico potrebbe essere divenuto un municipio autonomo, conservando, così, una propria identità. Certo è, però, che durante tutto il periodo della dominazione romana, Marsico fu caratterizzato da una florida economia che le derivava principalmente dall’essere una importante “statio” sulla via Herculea. Anche il numero delle iscrizioni riprese da epigrafi presenti nel paese, serve a mettere in evidenza una certa consistenza demografica.
Roma, pur essendosi estesa fortemente, cominciò gradualmente a perdere il controllo dei territori prima conquistati e, nonostante Diocleziano fosse ricorso alla tetrarchia per cercare di rendere il governo meno difficile, non riuscì a fermare le orde di barbari che ormai si erano stabilite a ridosso dei confini dell’impero. Primo tra tutti, Alarico, re dei Visigoti, intorno al 410 d.C., si dirige verso il sud. Ventre a tal proposito afferma che “il barbaro monarca, carico di immensi tesori, non essendo ancora soddisfatta la sua cupidigia, decise passare in Sicilia, e nel cammino devastò la Campania, la Lucania, la Bruza, e fu tanta la desolazione che vi apportò, che l’imperatore Onorio, nel 413, concesse a popoli di esse di pagare il quinto dei soliti tributi”.
Dopo Alarico anche i Vandali di Genserico, scesi in Italia pochi anni dopo, intorno al 455 d.C., diedero uno scossone all’impero romano. Odoacre, dichiaratosi suddito dell’imperatore d’oriente, che da parte sua lo aveva nominato “magister militum per Italiam”, cerca di rimettere in piedi la struttura statale romana ancora presente nelle regioni dell’impero. Nel 488 d.C. fu la volta di Teodorico, re degli Ostrogoti, che si metterà a capo di un regno unitario, cercando di ripristinare parte degli antichi splendori. L’imperatore d’oriente Giustiniano, però, preoccupato del potere gradualmente acquisito da questi sovrani stranieri nella penisola italica, a partire dal 535 d.C. inizia una riconquista dei territori. Le battaglie più feroci della cosiddetta guerra greco-gotica si combattono nelle regioni meridionali. La stessa Grumentum, ex colonia romana, perde progressivamente importanza e prestigio.
L’evento che segna maggiormente il passaggio all’età medievale è sicuramente l’avvento dei Longobardi a partire dal 568 d.C. Essi provenivano dalla Pannonia (lungo gli odierni confini con l’Austria) e si comportarono da veri e propri conquistatori, sovvertendo radicalmente gli assetti istituzionali preesistenti e organizzando il territorio secondo la loro specifica struttura statale. Gli Exercitales longobardi, dalla sede ducale di Benevento, tra il 570 e il 590, si spingono verso sud, riuscendo ad espugnare Salerno e occupando anche la Lucania. Affermati i propri domini, i duchi dividono i loro territori in gastaldati e contee: i primi sono ampi distretti amministrativi, le seconde sono zone di particolare valenza strategica. Le zone che oggi appartengono alla Basilicata risultano, in un primo periodo, divise tra gastaldati di Conza, Acerenza, Venosa e Latiniano. Quest’ultimo si estende tra la costa ionica e i rilievi montani del potentino, abbracciando anche i territori delle valli dell’Agri e del Sinni. Il Ventre afferma che un tempo i duchi erano del tutto dipendenti dai re longobardi, ma che gradualmente divennero sempre più autonomi. I conti longobardi presenti a Marsico dal 780 al 1072 furono: Anibrando, Ardenulfo, Guaimario, Rainaldo di Malaconvenienza, Guidone, Osmondo di Missaniello, Guaimario II. I primi longobardi trovarono la città già abbastanza popolata e attiva dal punto di vista commerciale, ma presto rinforzano le mura di cinta e le torri di difesa. Il castello che era il fulcro di tutto il sistema difensivo, sorgeva nella parte più alta dell’abitato ed occupava tutta l’area oggi circoscritta dall’ex convento di S. Francesco, compreso anche il giardino e le strutture del vecchio carcere. La cinta muraria longobarda delimitava, approssimativamente, l’abitato della “civita”, sulle cui mura si ergevano undici torri, “quelle superstiti che ancora oggi si notano, sebbene inglobate dalle nuove costruzioni, lasciano facilmente immaginare quale doveva essere l’aspetto della città fortificata”. Dovevano essere almeno quattro le porte attraverso le quali si accedeva alla città; esse erano dedicate probabilmente ai santi scelti come patroni dei vari rioni: S. Nicola, S. Angelo, Sant’Andrea e Santa Croce. A quest’epoca risalgono sicuramente la chiesa di S. Michele Arcangelo, che fungeva da cattedrale, e l’abbazia di Santo Stefano, collocata molto probabilmente fuori dalle mura longobarde, l’annessa fabbrica del monastero, la foresteria, il refettorio, le cucine, le cantine, le celle ed il chiostro. Sorse in questo periodo anche la chiesa dedicata a San Giorgio e quella dedicata a San Nicola. Doveva esserci, anche se non si riesce ad individuare dove, la chiesa di San Basilio e, infine, il monastero benedettino di San Martino, che secondo alcune fonti fu raso al suolo dai saraceni nell’881 d.C.
Durante la dominazione longobarda Marsico è certamente il centro strategicamente meglio disposto. A tal proposito, negli elenchi dei centri saccheggiati dai saraceni non compare mai Marsico; ciò dimostra che la città era ben difesa dagli exercitales ivi stanziati. Vista questa sua collocazione, Marsico presto divenne contea. Il suo territorio abbracciava l’alta Val d’Agri ed il vallo di Diano fino agli Alburni. “Già intorno al mille, dunque, in un’epoca, cioè, in cui le città sono sempre più rare, la vitalità economica, il notevole aumento della popolazione, il nuovo ruolo politico acquistato ed il trasferimento definitivo della sede vescovile grumentina, fanno di Marsico uno dei pochi centri lucani a potersi fregiare del titolo di civitas”.
I normanni erano originari della regione scandinava. Questi, abili guerrieri, oltre che bravi marinai, a partire dall’VIII sec d.C.. si erano spinti lontano dalle loro terre d’origine e avevano iniziato la conquista della steppa russa, della Gran Bretagna e delle coste francesi. Il re franco Carlo il Semplice, nel 911 d.C., era stato costretto a scendere a compromessi con il sovrano normanno Rollone, concedendogli come feudo una vasta regione della costa settentrionale del suo territorio. Con il passare dei secoli, la convivenza con i franchi si radicò sempre più, tanto che i normanni si erano andati gradualmente integrando. Allorché giunsero in Italia, essi potevano ormai considerarsi cavalieri cristiani. Essendo cristiani e legati alla chiesa, forse su invito stesso di papa Benedetto VIII, avevano offerto il loro aiuto ai longobardi, in lotta sia contro i bizantini che contro i saraceni. Nel 1010, assoldati dai longobardi, molti valorosi normanni si erano posti a capo dello scontro contro i bizantini in Puglia. In seguito, durante lo scontro tra il principe di Salerno e quello di Capua, si unirono al primo dal quale ottennero la contea di Aversa. Nel 1040 il signore di Melfi chiede aiuto ai normanni, contro i bizantini, promettendo loro terre e titoli in caso di vittoria. In seguito a questa sconfitta dei bizantini molte città chiedono l’aiuto dei normanni e cadono sotto il loro dominio: Venosa, Acerenza, Matera e Sant’Arcangelo sono le più prestigiose delle dodici contee che il principe di Salerno assegnò ufficialmente ai normanni, legittimando così loro il possesso delle terre conquistate.
Tra i normanni all’inizio non vi è un sovrano, ma un primus inter pares, e i singoli guerrieri ai quali è stato assegnato un territorio come ricompensa delle campagne di conquista, si comportavano da piccoli monarchi assoluti. Con l’antipapa Anacleto, per la prima volta, Ruggero di Sicilia ottenne il titolo di rex, ma esso poteva essere non solo formale se avesse ridimensionato il potere locale dei conti. Per questo motivo, a partire dal 1136, lo stesso Ruggero inizia a dare vita ad una riforma dell’amministrazione. Si sceglie dei funzionari di fiducia, preparati per i singoli compiti per i quali sono preposti, ad essi, poi, collega una serie di ufficiali locali. La struttura feudale rimane, però, sempre la stessa, con l’unica variante che i feudi e le contee non sono possedute come proprietà privata, ma come privilegio per concessione del sovrano ed a lui tutti devono necessariamente rendere conto. L’autorità regia viene completamente restaurata con Ruggero II quando nel 1144 emanò il De Regnandis privilegis con il quale istituì i Defetarii sui quali erano nominati i singoli feudi e i servigia dovuti al re. Con tale atto vennero istituite le Comestabulie, guidate da un Comestabile, ufficiale regio, che ha il compito di organizzare e guidare i contingenti militari.
Il primo normanno a diventare signore di Marsico sarebbe Rinaldo Malaconvenienza, ma a tal proposito vi sono molti dubbi viste le informazioni contrastanti derivanti dalle fonti.
Il sovrano normanno, Guglielmo II, dopo essersi visto riconosciuto nella sua autorità e circondato da fidati e preparati collaboratori, riprese la sua politica espansionistica. Marciò fino alle porte di Costantinopoli dove, però, si fermò non riuscendo ad assediarla. Nel frattempo, per tenersi buono l’imperatore, il sovrano normanno accondiscende ad un accordo realizzato tramite il matrimonio tra la principessa Costanza, ultima figlia del re Ruggero II, e l’erede di Federico Barbarossa, Enrico VI. Nonostante tale matrimonio fosse ostacolato dal Papa Urbano III, esso fu celebrato e si crearono le premesse per una successione sveva nel regno normanno della Sicilia.
Per Marsico dal punto di vista urbanistico, nel primo periodo normanno non vi sono grossi sconvolgimenti urbanistici. E’ in questo momento, infatti, che inizia la costruzione della nuova cattedrale, probabilmente sulle rovine di una chiesa già esistente, mentre il vecchio castello longobardo viene adibito a monastero francescano, con la costruzione della chiesa e del campanile (1310-1315). In questo stesso periodo viene dedicata una chiesa a Sant’Andrea ed una a San Marco. Alle falde delle colline, inoltre, dove c’è l’attuale cimitero, viene eretto nel 1340 il monastero dei “celestini” di San Giacomo.
Dopo alterne vicende, nel 1194 Enrico VI di Svevia viene incoronato re di Sicilia, mettendo definitivamente fine alla dinastia normanna. Con gli Svevi, Marsico Nuovo fu affidata alla potente famiglia dei Sanseverino, che resse il potere fino al 1552. Questa famiglia, di stirpe normanna, è discendente da Turgisio al quale Roberto il Guiscardo, conquistata Salerno, concesse la signoria su Rota (laddove vi è attualmente la cittadina di Mercato Sanseverino), uno dei diversi castelli posto a controllo delle strade che portavano a Salerno. Intorno al 1230, Tommaso, in cambio dei suoi territori nel Cilento e di una cospicua somma di monete d’oro, viene nominato “imperiali gratia comes Marsici”. Divenuto, così, conte di Marsico inizia a concedere una serie di privilegi ai monasteri del paese per acquistare il consenso. Ruggero Sanseverino, però, non fa proprio in tempo a riprendere i suoi possedimenti al quale, morto Corrado, il suo successore Manfredi confisca la contea di Marsico e la consegna a Enrico di Spernania. Nel 1246, però Marsico venne coinvolto nelle sommosse fomentate dai baroni in protesta contro il potere accentrato di Federico II. Quest’ultimo immediatamente si vendicò dell’affronto e assegnò la contea di Marsico ad uno dei suoi fidati, Riccardo Filangieri. Solo con la presa del potere di Innocenzo IV la contea viene riconsegnata nelle mani dei Sanseverino. Da parte sua, infatti, Ruggero Sanseverino aveva portato avanti le trattative che il papa Alessandro IV stava attivando per coinvolgere nello scontro contro gli Svevi, il fratello del re di Francia, Carlo d’Angiò. Le cronache affermano che nella battaglia che si combattè a Benevento (1266), il giovane conte di Marsico ebbe un ruolo importantissimo che lo fece entrare nella cerchia degli uomini di fiducia del sovrano angioino. Questa situazione lo portava spesso ad essere fuori dal paese lucano. Questi sposò la sorella di San Tommaso d’Aquino e da lei ebbe Tommaso che nel 1293 si occupò del governo della città; solo due anni dopo si firmò conte di Marsico nel rinnovare al monastero di San Tommaso Canterbury, del quale era badessa sua cugina, Agnese d’Aquino, i privilegi precedentemente concessi dai suoi predecessori.
L’ultimo dei Sanseverino fu Ferrante che per la gloria, per la magnificenza e il lusso fu costretto a rinunciare al regno attraverso un atto pubblico, dichiarato, dopo una serie di vicissitudini, ribelle al viceré di Napoli. Anche Marsico, uno dei suoi feudi, fu messo in vendita nel 1553. Diversi dei suoi feudi, non trovando compratori restarono nel demanio pubblico; Marsico, invece, riuscì ad affrancarsi dal potere feudale e a rimanere Regio Demanio fino al 1648. “Tassata per 300 fuochi l’universitas marsicense esce così da un lungo periodo di crisi che l’ha vista relegata a città di periferia dei possessi dei principi di Salerno”. Tale cambiamento si rivela favorevole a Marsico che riesce a recuperare prestigio. Inoltre, poiché in seguito al Concilio di Trento, viene richiesto ai vescovi di risiedere nelle loro sedi, la presenza episcopale ridà lustro alla città e favorisce la sua ripresa economica. Fu solo con Carlo V che essa diventò città del Regio Demanio.
Nel 1638 furono i Pignatelli ad acquistare il feudo facendo edificare un palazzo che oggi porta il loro nome ed è sede del Municipio. Francesco, figlio del marchese di Cerchiara, nobilissima famiglia napoletana, comprò dalla corte il titolo di signore di Marsico. La loro famiglia governò Marsico Nuovo fino al 1806, anno dell’abolizione della feudalità da parte di Giuseppe Bonaparte. Gli ultimi esponenti di questa famiglia, Vincenzo e Diego, appoggiarono la rivoluzione napoletana del 1799 e, in seguito, perdettero il feudo. Nel 1809 Marsico passò nell’amministrazione della provincia della Basilicata. Con il governo napoleonico, infatti, la città venne compresa della nuova provincia, cessando di far parte del principato Citra di Salerno.
Il borgo, poi, fu sede di una rivendita carbonara e prese parte attiva ai moti del 1820-21. Michele De Blasiis e Domenicantonio Pasquariello sono solo alcuni dei nomi dei tanti che si chierarono apertamente nello scontro. oltre che a quelli del 1860 che portarono all’unificazione del Regno d’Italia nel 1861, rendendo Marsico Nuovo ancora una volta protagonista in questo ultimo, fondamentale evento della sua storia pre- unitaria. Nel 1857 il paese, colpito da un sisma, aveva lasciato dietro di sé, oltre alle 89 vittime, anche molte macerie, infatti la Cattedrale fu rasa al suolo, unitamente a buona parte del Seminario e del Palazzo Vescovile. Alla prima guerra mondiale Marsico diede un tributo 101 morti.
Dal 1880 al 1900 circa il paese è stato colpito dalla triste piaga dell’emigrazione. Nonostante tutto ciò, Marsico Nuovo continua a rimanere, ancora oggi, uno dei centri abitati più popolati della valle. Impoverita dalle ondate migratorie seguite alle due guerre mondiali, la città ha attraversato decenni di profonda crisi e cerca oggi di riannodare le fila del proprio passato per trarne nuovi stimoli di crescita civile ed economica.
L’economia del paese è prettamente agricola, in particolare è sviluppato il settore ortofrutticolo e la produzione di fagioli, oltre alla zootecnia. Successivamente al terremoto del 1980, inoltre, sono state create due aree P.I.P., nelle quali si sono insediate diverse aziende artigianali che hanno dato una notevole spinta all’economia locale, creando un numero considerevole di posti di lavoro. Un altro grande stimolo al paese, in termini di benessere ed occupazione, è dato dall’estrazione petrolifera che da qualche anno interessa parte del territorio di Marsico Nuovo. Come a tutti i paesi con pozzi petroliferi attivi all’intero del proprio territorio, al paese vengono versate le royalties dirette di competenze comunale.Da settembre 2009 anche il comune marsicano percepirà le royalties direttamente dall’ENI aggiungendosi agli altri “fortunati” comuni della Val d’Agri, percettori di tali introiti provenienti dalle compagnie petrolifere.
Una notevole parte del territorio di Marsico Nuovo, inoltre, rientra nell’istituendo Parco Nazionale della Val d’Agri- Lagonegrese. Le catene montuose che circondano il paese offrono spunti paesaggistici meravigliosi. Visitando questi luoghi si possono ammirare, a quota 1200 metri, rigogliosi boschi di faggio e acero, più in basso abbondano i querceti, le abetine e i castagneti. Qui hanno il proprio habitat il lupo, il cinghiale, la volpe, il tasso, il falco, la lepre, il gufo e la lontra. Il sottobosco, poi, offre pregiati tartufi e i funghi porcini. Passeggiando tra i sentieri ricchi di sorgenti si giunge ai parchi attrezzati di “Fontana delle Brecce” e “Monte Ausineto”. Zone di grande fascino naturalistico sono anche il rifugio “Romanello”, la “Piana del Lago-Lama” e la grotta di “Castel di Lepre”.